I dati arrivano dal 59/esimo rapporto Censis.
Rappresentano una fotografia della quale in molti ci siamo resi conto per quello che è cambiato profondamente nell’economia familiare quotidiana.
Lo vediamo ogni giorno nei negozi chiusi delle città, in serrande abbassate che hanno smesso di raccontare una storia di vita durata, a volte, decenni. Serrande abbassate, magazzini vuoti, per diverse ragioni: affitti cari, competitività dei prezzi finali con l’e-commerce, impatto inflazionistico sui costi fissi da sostenere. E anche, evidentemente una ricchezza reale delle famiglie che si è ridotta.
Ce ne accorgiamo in uno stile di vita che ha aumentato le distanze tra come vivevamo ieri, non poi così lontano, ma che appare ormai come un passato dimenticato. Con la tecnologia che ha cambiato abitudini di consumo e relazioni personali, modificando percezioni e sensibilità.
Il Censis ci racconta che negli ultimi quindi anni la ricchezza delle famiglie italiane è diminuita in termini reali dell’8,5%, ovvero si è ridotta in ciò che effettivamente può essere speso. Ma, soprattutto, ci dice che chi ha perso più ricchezza è il ceto medio. Un ceto medio che sta scomparendo, ma che, in quel “ieri”, diventato passato, rappresentava un motore per l’economia reale.
In cifre, il 50% delle famiglie più povere ha visto diminuire la propria ricchezza del 23,2%, mentre il 10% delle famiglie più ricche ha visto aumentare la propria ricchezza del 5,9%. In questi due estremi, troviamo l’ampiezza della disuguaglianza economica che si è generata. Infatti, continuando a scorrere i dati del Rapporto Censis, vediamo che il 48% della ricchezza è oggi in mano a 1,3 milioni di famiglie che costituiscono il 5% delle famiglie più abbienti. Mentre, la quota di ricchezza detenuta da 13 milioni di famiglie che si trovano alla base della piramide patrimoniale è scesa dall’8,7% del 2011 al 7,3% del 2025.
Questi numeri messi in relazione con quelli dell’Istat, ovvero con il fatto che a settembre i salari reali erano ancora di 8,8 punti inferiori a quelli di gennaio 2021, parlano da soli. Senza politiche economiche e occupazionali orientate alla crescita reale e alla tutela delle persone, non possiamo aspettarci che, in futuro, le cifre possano cambiare.
Credo che ci troviamo in una fase in cui l’evidenza mostri la realtà.
A livello personale, ognuno di noi cerca di fare del suo meglio. Siamo un popolo pieno di risorse e di ingegno, generosi verso l’altro, combattivi e bisognosi di guardare avanti.
I numeri del Censis sono una constatazione, magari portano a pensare che lo sapevamo, che lo avevamo capito, che non dicano tanto di più. In realtà, a mio avviso, dicono molto, perché raccontano la permanenza di una consapevolezza che, però, non può diventare abitudine.
Certo che sarebbe meglio parlare di notizie positive, ma i dati sono importanti per stimolare una riflessione più profonda, per la quale, è ovvio che, per cambiare le cose, la soluzione è a livello macro, nel sistema economico sociale e monetario e nelle politiche economiche, monetarie e fiscali che consente, da un punto di vita concreto, di generare a favore di tutti i cittadini.
Penso che questo dovrebbe essere il faro: l’economia in funzione delle persone, quella di Stephanie Kelton, spiegata nel bellissimo libro “Il mito del deficit”.
Un modo nuovo per comprendere e non lasciare che questi numeri diventino abitudine.
Maria Luisa Visione


