Appena uscito il “Rapporto sulla stabilità finanziaria” della Banca d’Italia, facciamo il punto della situazione economica italiana.
Il calo generale della produzione manifatturiera delle economie avanzate e le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina incidono negativamente sugli scambi internazionali esponendo a maggiore incertezza Paesi come l’Italia e la Germania, più dipendenti di altri dalla domanda estera. Infatti, le stime di previsione sul PIL sono state riviste al ribasso.
Il Regno Unito ha ottenuto dal Consiglio Europeo proroga fino al 31 ottobre 2019 per completare il recesso dall’UE che, però, non esclude ad oggi un’uscita senza accordo, tanto che tutti gli Stati membri si sono mossi, anche noi, per anticipare tale eventualità. Noi, dal nostro canto, abbiamo emanato un decreto legge che consente a intermediari e gestori (sia italiani operanti nel Regno Unito, che britannici operanti in Italia) di continuare a operare in ogni caso sui mercati finanziari per un periodo transitorio di 18 mesi dall’uscita.
Le banche dell’Area Euro hanno migliorato in generale la qualità patrimoniale ma non la capacità di fare reddito e questo è un problema perché non riescono ad autofinanziarsi e a trovare nuovo capitale sul mercato. Di conseguenza, ci possiamo aspettare un livello di crediti a famiglie e imprese ancora contenuto nei prossimi due anni.
Mi soffermo, in particolare, su un indicatore di salute finanziaria del nostro Paese: l’indicatore del livello di “stress macro-finanziario”, driver per il rischio di crisi, da leggere come anticipatore di tensioni finanziarie sui mercati. Nell’ultimo anno tale indicatore è aumentato, anche se non ha raggiunto i picchi, per esempio, della crisi del debito sovrano e la causa principale di ciò è da rintracciare proprio in come si è sviluppato il mercato obbligazionario italiano (rendimenti più alti, ma premio a rischio maggiore) e sull’andamento dei titoli azionari delle società finanziarie italiane, che rimane piuttosto volatile.
Sul fronte spread, i Titoli di Stato italiani conservano per le agenzie Fitch e Standard & Poor’s merito di credito pari a BBB; tuttavia, se anche rimaniamo sui rendimenti attuali in emissione (riferimento aprile) si prevede una spesa complessiva per interessi sul debito pubblico superiore di circa 4 miliardi di euro nel biennio 2019-2020, rispetto ai tassi dello scorso anno.
Sul rapporto debito pubblico/PIL non mi soffermo dato il DEF ancora in ballo, invece, voglio porre l’accento su tre fattori: il positivo saldo corrente della bilancia dei pagamenti (esportiamo di più di quanto importiamo dal 2013); la ricchezza delle famiglie italiane che rimane elevata rispetto agli altri Paesi e l’abitudine come popolo a indebitarci privatamente pochissimo rispetto agli altri.
Infine, si stima che i prezzi delle abitazioni in Italia diminuiranno ancora leggermente nel 2019.
A conti fatti, dalla lettura integrata di questi elementi, possiamo concludere che è aumentato il rischio finanziario sui mercati e questo potrebbe tradursi in forti oscillazioni sulle attività finanziarie, in caso di eventi macroeconomici inattesi, nonostante l’atteggiamento accomodante delle banche centrali. Inoltre, i bassi tassi di interesse sui prestiti mantengono una sorta di stabilità sulla capacità delle imprese di rimborsarli, ma rimane ancora vulnerabilità nel sistema bancario.
Affinché tutto rimanga sotto controllo guida sempre la crescita economica; in questo caso, che la nostra economia non rallenti troppo, onde ci siano i ricavi, il vero bene per tutti.
Maria Luisa Visione