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Ma le pensioni pubbliche si adeguano all’inflazione?

Maria Luisa Visione
martedì, 26 Marzo 2019 / Published in Demografia, Economia

Ma le pensioni pubbliche si adeguano all’inflazione?

“Taglio delle pensioni da aprile”, titolo più, titolo meno, a tutti arriva il messaggio che siamo alle solite per trovare i soldi. Se non bastassero debolezza protratta dell’economia, salari che non crescono, bollette ai massimi, i pensionati interessati, circa 6 milioni, quanto meno si chiedono “Ma perché anziché rivalutarsi, la mia pensione diminuirà”?

Si chiama “perequazione automatica” delle pensioni ed è un meccanismo che adegua le erogazioni pubbliche all’inflazione, in base all’indice Istat. Tale meccanismo può essere rivisto con la legge finanziaria, a causa dell’andamento dell’economia e del PIL. Anche su questo tema galeotta fu la legge Fornero, che bloccò dal 1° gennaio 2012, per 2 anni, l’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps, lasciando invece, quelle di importo inferiore allineate al costo della vita, con un aumento del 2,7% nel 2012 e del 3% nel 2013. Successivamente, dal 2014, è stato introdotto il meccanismo di rivalutazione per scaglioni, con l’adeguamento al 100% delle prestazioni pari a tre volte il minimo, per scendere al 45% del tasso stabilito, per le pensioni di importo superiore a 6 volte il minimo Inps.

Dal 1° gennaio 2019, però, con l’applicazione della legge di bilancio, cambia tutto per effetto di una nuova scala di 9 scaglioni; si parte dall’adeguamento pieno sempre per le pensioni fino a 3 volte il minimo Inps e si arriva al 40% della rivalutazione (se si supera di 9 volte il minimo).

A questo punto per capire di cosa stiamo parlando quantifichiamo; il trattamento minimo Inps corrisponde a 513,01 € al mese, quindi se lo moltiplichiamo per 3 volte abbiamo 1.539,03 €; tale cifra è garantita. Attenzione, però, si applica il tasso di rivalutazione pieno dell’1,1% a € 1.522,76, importo più basso, considerati 3 volte il minimo livello di partenza. (€ 1.522,76×101,1%). Poi, all’aumentare dell’assegno pensionistico, l’adeguamento al costo della vita scende. Quindi, se non ci saranno conseguenze negative per gli assegni al di sotto di 1.522 € mensili lordi, totalmente indicizzati all’inflazione, con la nuova legge di bilancio, ci rimette la fascia dei pensionati media, ovvero chi percepisce fino a 2.537 € (5 volte;). Se questi prima vedevano applicato il 90% dell’adeguamento, oggi vedranno il 77%, cioè riceveranno 2.558,59 euro. Che sarà, direte voi…Sono poco più di 6 euro di differenza. Ma se prendiamo retribuzioni maggiori, uno stipendio per esempio di 4.600 € (ricordo che sono lordi), con la rivalutazione in vigore entrano 20,24 €, in più al mese, anziché 46.

Legge dei piccoli numeri che moltiplicati per milioni di pensionati banalmente fa diventare i numeri grandi.

Torniamo alla domanda iniziale, l’ultima legge di bilancio revisiona al ribasso un adeguamento al costo della vita che è già bassissimo, parliamo dell’1,1%. Il risparmio di spesa calcolato è di circa 2,2 miliardi di euro per il triennio 2019-2021.

Il blocco della Fornero, durato due anni, è stato dichiarato incostituzionale dalla consulta, nella sentenza della Corte Costituzionale 70/2015, in quanto lesivo del principio di adeguatezza, di proporzionalità e di conservazione del valore della pensione nel tempo.

L’escamotage successivo degli scaglioni di adeguare parzialmente e sempre meno assegni maggiori, introdotto dopo e riproposto, anche se con numeri diversi, nell’ultima manovra di bilancio, permette di difendere il valore reale della pensione pubblica dallo scorrere del tempo?

Maria Luisa Visione

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Tagged under: adeguamento retribuzioni, pensioni pubbliche

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