Quando si parla di spesa pubblica nell’immaginario collettivo si associa facilmente la parola “non efficiente”, e tanto è diffuso questo concetto che anche nella nota di aggiornamento al DEF, si “giustifica” in parte il precedente inserimento dell’aumento dell’IVA con “alcune politiche di spesa particolarmente onerose del passato”.
L’argomento richiede un approfondimento, con particolare riguardo al capitolo di spesa destinato agli investimenti pubblici.
Vorrei però cambiare l’approccio di fondo a questo tema, che non è quanto mi costi, ma piuttosto, quanto mi rendi e, dal momento che il problema della crescita nel nostro Paese è strutturale, come afferma il FMI che dichiara per l’Italia crescita zero nel 2019 e nel 2020, aggiungerei un concetto determinante al ragionamento, cioè, il tempo.
In termini economici si parla di moltiplicatore fiscale, ovvero di variazione percentuale del PIL generata da un incremento della spesa pubblica per investimenti pari all’1% del prodotto. Se la situazione finanziaria legata allo spread si mantenesse costante, contenendo la spesa per interessi a carico dello Stato sui titoli sovrani e orientando sempre tale tipologia di spesa ad un criterio di efficienza, un aumento degli investimenti pubblici effettuato in deficit può di fatto indurre un’espansione dell’attività economica sufficientemente elevata da produrre una discesa del rapporto tra debito pubblico e PIL. Pensate, è una soluzione tanto auspicata!
Tale affermazione è supportata da stime di Banca d’Italia, FMI, Commissione Europea, OCSE. In particolare, se l’aumento del capitale infrastrutturale fosse equivalente alla spesa effettiva, da qui a tre anni il moltiplicatore fiscale potrebbe raggiungere l’1,2%, stimolando domanda privata, occupazione e salari (quaderno Banca d’Italia n. 520, ottobre 2019).
Questo binomio, aumentare la spesa in investimenti pubblici e renderla totalmente produttiva, è vincente.
Quanto è importante il tempo? Guardando su un orizzonte più breve, tanto: quindi perché non concentrarsi sull’adeguamento delle infrastrutture già esistenti mettendole in sicurezza dal rischio idrogeologico per massimizzare l’effetto del moltiplicatore fiscale? Poi, nel frattempo si raccoglie anche la sfida dell’aggiornamento delle conoscenze e competenze della Pubblica Amministrazione per non far esaurire gli effetti macroeconomici positivi nel lungo periodo.
La spesa per investimenti pubblici in Italia si è significativamente ridotta negli ultimi anni, ma nel frattempo non si sono fatti passi in avanti sui tempi ancora troppo lunghi di progettazione e realizzazione delle opere pubbliche e sul loro complesso iter burocratico di approvazione.
Voglio dire che come spesso accade tendiamo a dimenticare i fondamenti macroeconomici a causa dei comportamenti e delle prassi attuate a livello micro.
Il fondamento è che gli effetti positivi sulla crescita economica degli investimenti pubblici possono essere davvero rilevanti. Quindi spendere rende molto.
Invece, se l’ammontare delle risorse pubbliche spese non è in linea con l’effettivo stock di infrastrutture disponibili è un problema di controllo dei comportamenti e di efficacia delle disposizioni normative ad hoc.
Ma se si pone tanta attenzione mediatica ad alcuni temi come il contante e l’evasione fiscale e nessuna a cosa si intende fare per “potenziare le infrastrutture materiali, immateriali e sociali, a partire dagli asili nido”, obiettivo di rilievo inserito nel DEF, si confonde la propaganda con la sostanza.
Maria Luisa Visione